Claudio Liu e il nuovo Iyo Aalto

Quando parla sembra di sentire un broker di prim ordine, oppure un capitano d’industria. Numeri precisi e idee chiare, concetti e pragmatismo, analisi e visioni chirurgiche sul mondo della ristorazione e non solo. Un fuoriclasse assoluto, che sa il fatto suo e non sbaglio un colpo, una sorte di guru, un re Mida, quello che volete.

Foto di Monica Cordiviola

Claudio Liu è un visionario con i piedi per terra, uno che vede lontano senza perdere il controllo, uno che sa già dove arriverà. “Il banco è prenotato fino a metà gennaio”, ci dice ancor prima delle feste natalizie. “Mentre per il ristorante vero e proprio mandiamo via gente ogni sera”.

Ne siamo sicuri, anche perché le attese erano altissime. Attese superate? Al banco sì, al risto ni. Il “ni” è tutt’altro che una bocciatura, è un complimento, perché ormai i Liu, tutti i tre, sono condannati ad eccellere ad ogni piatto, ad ogni servizio. Da loro si aspetta la luna, nulla di meno.

Per quello che riguarda Claudio non potrebbe essere diversamente: Iyo è il primo e finora l’unico ristorante così detto etnico ad aver conquistato la stella Michelin, Aji è un take away diventato subito aspirazionale. Logico che il nuovo Iyo venisse preso d’assalto fin dalla molto aspettata apertura. La curiosità era tanta e lo è tutt’ora, un investimento colossale, si colossale, come si usa dire per le produzioni hollywoodiane, un kolossal. Poltrone ed arredi made by Contract Poliform, specchi, vetrate, marmi rari. E’ uno che pensa in grande, perché è un grande.


  • Cominciamo con la domanda più banale, perché hai aperto Iyo Aalto?

Perché Milano cresce veloce e noi con lei, sta diventando una vera capitale europea. Perché negli ultimi dodici anni ho maturato delle conoscenze, esperienze e ambizioni che dovevano trovare uno sbocco: eccolo. Aggiungo che se non fosse stato per la zona, non avrei aperto: Porta Nuova e la Piazza Aalto si prestano idealmente, sono perfetti per il mio progetto. Volevo un nuovo ristorante, completamente diverso dal primo, che non ha senso toccare, deve rimanere così com’è.

  • Perché il nome Aalto associato ad Iyo?

Per dare un senso di appartenenza, per mettere la bandiera, per immedesimarsi nel luogo. E’ il nome della piazza che ci ospita, Alvar Aalto.

  • In tanti si chiedono come farai ora, ti sdoppierai fra i due ristoranti?

Ho la fortuna di avere una moglie fantastica, che ha lavorato sempre assieme a me, per cui tutto sarà come prima, senza dimenticare chi ci lavora lì da anni, in Via Piero della Francesca. Anzi, ora avranno più autorità e responsabilità, il che li farà crescere umanamente e professionalmente. E poi la mia intenzione è di concentrarmi sempre di più sulla gestione, sul management, seguire corsi di leadership e portare lì anche i miei collaboratori. Mi piacerebbe dedicarmi di più sulle risorse umane, cercare di far sì che il personale lavori solo otto ore al giorno e 40 a settimana, che possa seguire corsi di inglese e accoglienza.

  • Incredibile come cambia il mondo della ristorazione e le conoscenze che si devono avere.

Sono cambiate le necessità, i proprietari devono investire su loro stessi, mentre i dipendenti cercano un posto di lavoro dove poter lavorare bene e stare bene. Noi dobbiamo fare delle analisi, cercare di capire come ottimizzare le ore, è ormai tutto terribilmente serio e complesso, la ristorazione è davvero un’azienda. E invece vedi ancora dei proprietari che vanno avanti senza business plan e senza sapere cosa sia il mol, l’ebtida e la giacenza.

  • L’obiezione nei tuoi confronti è che nel nuovo ristorante proponi una cucina giapponese, con te che sei di origini cinesi.

Nessuna persona detiene il monopolio della propria cucina. Per quello che mi riguarda, ho delle affinità con la cucina giapponese, la sento mia per eleganza, rispetto delle materie, la ricerca dell’umami. E poi noi proponiamo una cucina giapponese interpretata, perché ogni chef ambizioso gira, si informa, poi torna e, appunto, interpreta.

 

  • Facciamo ordine. C’è il banco e poi c’è il ristorante vero e proprio, la sala.

Sono due mondi diversi. Al banco proponiamo la cucina giapponese classica, senza compromessi. Finalmente, dopo dieci anni, riesco a lavorare assieme a Suzuki Masashi, ci inseguivamo da tempo, ora eccolo qui da Iyo. Prima di aprire siamo andati assieme in Giappone, nei migliori ristoranti del genere: onestamente, in uno soltanto abbiamo mangiato come si mangia ora da noi. Nel ristorante vero e proprio c’è la mano e il mondo di Domenico Zizzi: c’è ancora bisogno di rodaggio, ma siamo sulla strada giusta.

  • Elenchiamo qualche piatto, seppur in rodaggio.

Wagyu sulla carbonella con purea di melanzana bruciata, aglio nero e yuzu. L’Ichiban dashi, ovvero la chiusura tradizionale della cucina giapponese, con dashi e riso bianco modificato, dodici tipi di cereali, tofu, dattero e mandorle. Il gyoza, ravioli fritti con guancia di vitello cotta a bassa temperatura, accompagnata con composta di cipolla caramellata. L’Astice con dashi di astice servito con purea di mele, mela verde e kombu.

  • Quanto si spende, nel tuo e vostro nuovo regno?

120-130 nella sala, 150 al banco, con il menù degustazione.

  • In quanti siete, in totale?

22, me compreso.

  • Gli arredi e il resto come li hai scelti?

Ho scelto quasi tutto io, in base ai miei gusti, poi per la realizzazione mi sono affidato a degli amici, ovvero Contract Poliform. C’è tanta matericità in questo ristorante: pietra, legno, ottone.

  • Da uno a dieci quanto ti rappresenta il menù e il ristorante stesso?

Cento.

  • C’è un angolo che ti piace in maniera particolare?

Un angolo forse no, però adoro la vista.

  • Concludendo, come potremmo caratterizzare la cucina di Iyo Aalto?

Contemporanea libera.

(Di Dominique Antognoni)