Andrea Alfieri: turbo chef!

“Sono Andrea Alfieri, risolvo problemi”. Se avete un albergo con cento stanze e quattro ristoranti, più un bistrot dove si devono accontentare valanghe di persone ogni sera, chiamate lui: si rimbocca le maniche e inizia a sfornare piatti a qualsiasi ora, in qualsiasi situazione. Colazioni, room service, cene, pranzi, eventi, cresime e compleanni: riesce a gestire tutto con infinita tranquillità e senza un lamento, con la sua mano decisa e i sapori ben definiti. Sa calibrare la cucina in base alle esigenze, il che è assai raro in un mondo dove impero l’io. Ti regala gioie semplici e intense, come ci ha abituati nel passato al Chiostro: i suoi assaggi, chiamati sgagnini, hanno fatto scuola. Propone sempre e ovunque una cucina allegra e solare, ghiotta e ricca, diretta e a volte ruvida, però sempre comprensibile al massimo: è qui che fa la differenza. L’uomo è rassicurante, un vero aziendalista, non a caso è stato scelto dal Magna Pars per prendere le redini della ristorazione a tutto tondo, compreso Da Noi, il fine dining dell’albergo.

  • Si è chiuso il cerchio: hai sempre detto che saresti tornato a Milano solo per lavorare in un grande albergo. Eccoti. Magna Pars. Cinque stelle.

Mi piace molto la ristorazione nel mondo della hotellerie, perché amo essere coinvolto in tutto, mi tiene vivo, mi piace gestire l’intera struttura e in più pure i ragazzi in cucina stanno più sull’attenti, crei più interesse in una situazione del genere.


  • Come possiamo caratterizzare la cucina del ristorante Da Noi?

Senza dubbio di mare. Spaghetto alle vongole, zuppa di pesce, perfino il fritto misto, ovviamente leggermente riveduto rispetto alla trattoria classica. Non poteva mancare il mio pino mugo e un piatto a base di foie gras, così come il mio carpaccio di gamberi, che mi ero portato anche in montagna. Non mi sono portato invece il pesce di lago e la selvaggina.


A pranzo però è tutto più immediato e anche più diverso, perché ti arrivano le modelle che lavorano negli show room vicini, i manager che hanno poco tempo e via dicendo. Comunque di media abbiamo una quarantina di persone per il lunch, con picchi di novanta. Rimane sempre un ristorante d’hotel, di conseguenza ci saranno sempre i piatti classicissimi, dal filetto di manzo al risotto giallo e alla cotoletta. Gli stranieri preferiscono quelli tradizionali, nulla di creativo e stravagante. E se il cliente ti chiede lo spaghetto stracotto glielo fai, perché appunto è un cliente e sei al suo servizio: negli alberghi è così, è più lui a chiederti cosa mangiare.


  • Che ambiente hai trovato?

Già nei primi giorni la proprietà mi aveva raccontato di come alcuni dipendenti fossero arrivati adolescenti nella sua azienda di profumi per rimanere fino al giorno della pensione: ora capisco anche il motivo.


  • Si rimane ancora diffidenti nei confronti del ristorante di un albergo?

Meno di prima e si inizia a lavorare di più con i clienti dell’albergo stesso. Ora abbiamo cinquantaquattro stanze, a breve saranno sessanta, il che aiuta. Chi invece viene da fuori sa che troverà un ambiente di lusso senza esagerazioni, mentre il servizio è molto easy, per nulla ingessato. Insomma, il classico ambiente fine dining moderno.


  • La brigata è tutta tua, te la sei portata da Courmayeur?

Sono venuti con me in sei più Samantha, mia moglie, che in pratica è diventata una sorta di maître executive per tutte le attività dell’albergo. Ovviamente ho portato Roberta Zulian, che mi segue ovunque da vent’anni e la voglio con me ovunque. Poi ho chiamato anche Pietro Lanzani, mio braccio destro al Chiostro, che ora fa il capo partita ai primi. Della vecchia brigata è rimasto Alessandro Gioè ed è ancora sous chef.


  • Cosa cambia fra essere lo chef di un ristorante classico e lo chef di un locale d’albergo?

Il menù è più ruffiano, nel senso positivo della parola. Il lavoro in sé è molto più manageriale, si deve controllare tutto, però a me piace: arrivo alle 7 e vado via a mezzanotte, in mezzo ci sono le colazioni, il pranzo, gli eventi, la cena, la banchettistica, il bar e anche il room service. Mi piace offrire tutto al cliente, dalla brioche al cioccolatino della buonanotte e ancor più essere un riferimento. A proposito, al nostro bar puoi mangiare quando vuoi: non trovi solo il club sandwich e l’hamburger, ma anche la tagliatella al ragù.


  • Perché in Italia non funziona il fine dining all’interno degli alberghi cinque stelle?

Dipende. Mandarin e Hyatt hanno una impostazione diversa, per loro a livello mondiale c’è sempre stata la ristorazione di alto livello. Il Four Seasons anche, solo a Milano hanno un po’ abbandonato l’idea. Penso che dipenda tutto dalla direzione; se sono innamorati dell’alta cucina la propongono, altrimenti no. E poi c’è differenza fra l’albergo di catena e quello con un proprietario unico, presente all’interno.


  • C’è differenza fra un ristorante d’albergo a Milano e uno in montagna?

Sì, molta. A Milano c’è tanta clientela business, alcuni si sentono a casa e soprattutto non sono loro a scegliere l’albergo, spesso se ne occupa l’azienda. In montagna invece sono i clienti a decidere dove soggiornare, per non dire che lo vivono diversamente: hanno più tempo libero e di conseguenza si fermano più a lungo al ristorante. Dall’altra parte in molti acquistano il pacchetto della così detta mezza pensione, motivo per il quale devi cambiare menù ogni giorno.


  • Ha senso proporre l’alta cucina in un albergo di montagna, in una località prettamente vacanziera e soprattutto stagionale?

Non tanto, perché solitamente il cliente vuole qualcosa di tipico, di diverso rispetto a quello che può mangiare a casa sua, in città. Per l’alta cucina hai tutto l’anno a disposizione. Però nel caso si volesse proporla, avrebbe senso solo se si puntasse sui prodotti regionali, sul territorio. Detto questo, in montagna i fine dining non stanno in piedi, economicamente parlando. Hai solo spese, perdi tanti soldi, vale anche per alcuni tristellati. Certo, in cambio hai il prestigio.


  • Hai lavorato in tanti alberghi di montagna: ce ne è uno al quale ti senti più affezionato?

Il Majestic di Madonna di Campiglio, anche perché venivo da una esperienza assai tribolata a Milano, in Corso Sempione: era il mio periodo dove volevo fare e imporre la mia cucina, senza tener conto della clientela. Un errore che per fortuna non ho mai più ripetuto.


  • Concludendo, cosa ti piace di più al Magna Pars?

L’ambiente di lavoro. Tutte le responsabili e le direttrici sono donne. Per di più, delle bellissime donne. Compresa mia moglie.

(Di Dominique Antognoni)