Gong Milano: l’intervista a Giulia Liu

“Ciao, sei impegnato?”

“Sono da Gong, sto intervistando Giulia”

“Ah, fantastico, vorrei tornarci al più presto. Però se posso darti un suggerimento, ultimamente stai scrivendo un po’ troppo di lei, forse qualche lettore lo noterà”.

Dall’altra parte del telefono c’è la donna dei miei sogni: su Giulia ha ragione. Ne scrivo spesso. Ma non potrei fare diversamente e non vedo nemmeno il motivo di smettere di farlo. E’ anche vero che in molti mi fanno capire, come se fosse un torto, che ceno sempre dagli stessi: ci mancherebbe altro, se un posto mi piace e mi rappresenta, perché dovrei cambiarlo? Avete mai visto uno che guida una Ferrari dicendo “Si, è formidabile, però da domani basta, la cambio”? No. Vale anche per Gong, come per quegli altri cinque, sei ristoranti dove adoro e preferisco passare il mio tempo libero, le serate che contano con le persone che contano di più.

Da Giulia vado spesso, lo ammetto senza problemi, anche se il più delle volte arrivo da lei verso mezzanotte o poco prima, solo per salutarla. Mi piace molto l’atmosfera che trovo tutte le sere, mi siedo spesso per un caffè e nulla più. Parliamo sempre, ma non come stavolta, quando ci siamo seduti uno davanti all’altro e abbiamo fatto sul serio. Domande, risposte, una vera e propria intervista.

Giulia Liu – Ph by Monica Cordiviola
  • Lo ripeto da molto, ormai: Gong è il ristorante perfetto, oltre ad essere il migliore della città, assieme al Mudec. Però è una mia opinione, o forse non solo mia: per te invece cosa significa la perfezione?

Saper gestire ogni momento, in ogni situazione.


  • C’è un angolo, un tavolo, un dettaglio di Gong che ti rappresenta e ti piace in maniera particolare?

Verso la zona finale del ristorante, sulla parte sinistra, c’è un tavolo proprio accanto al gong. Ho la sensazione che stare seduti lì faccia capire e percepire intensamente l’atmosfera quasi mistica che ho voluto creare qui. Anche perché il gong lo si trova nei posti di meditazione, dove si va per trovare la tranquillità.


  • Cosa significa secondo te il fine dining?

Dal punto di vista del cliente significa entrare qui e non doversi preoccupare di nulla, perché ci pensiamo noi. Per quello che mi riguarda vuol dire far vivere agli ospiti una serata elegante. Il fine dining richiede qualche sacrificio economico dalla parte del ristoratore, nel senso che si deve investire molto, personale compreso, però alla lunga è una strategia ed un progetto vincente.


  • A proposito del personale, è uno dei punti fortissimi di Gong.

E’ più che altro una caratteristica asiatica, di conseguenza anche di Gong. Siamo più disponibili, più concentrati e più calmi. Aggiungo che da noi in Oriente l’ospite è sacro. Però l’aspetto più fondamentale nel nostro ristorante, vale anche per quelli dei miei fratelli, è che abbiamo tanto personale di origini asiatiche nato in Italia, il che fa tutta la differenza del mondo, perché sono cresciuti con la modernità e, per chi abita a Milano, con la classe e la raffinatezza meneghina.


  • C’è una caratteristica particolare che imponi ai tuoi ragazzi in sala?

La postura, ci tengo tanto. E poi mi piace vedere il personale ben distribuito, per me l’eleganza vuol dire ordine. Dobbiamo essere quasi dei soldati.


  • Come si crea il menù di un ristorante come il vostro?

Ci vuole la parte rassicurante e poi quella leggermente più spiazzante, ci vogliono il salmone e l’anguilla. La clientela fidelizzata si lascia nelle nostre mani, per cui possiamo proporre e osare di più, mentre i coloro che vengono da noi per la prima volta hanno bisogno di conoscerci bene prima di darci tutta la loro fiducia. Per fare un esempio, noi conosciamo bene i nostri prodotti e le tradizioni, mentre alcuni ospiti no: non è molto furbo iniziare dalla maionese di sriracha e dallo yuzu kosho, c’è tempo.


  • A proposito di nuovi clienti: a chi volesse venire da voi per la prima volta, cosa possiamo consigliare?

Il menù degustazione classico, sei portate per 65 euro. Fra poco lo porteremo a otto portare per 80 euro. E’ il menù base, diciamo così.


  • Ci sono dei piatti che ti rappresentano in maniera particolare? Un anno addietro mi avevi detto il raviolo oro, quello al wagyu e il Maci. Possiamo aggiungerne degli altri?

A me piacciono i sapori forti, il gusto intenso, per cui dico la ceviche orientale di spigola, piccantina e fresca. Il raviolo al wagyu rimane, perché molto intenso e goloso. Ora sono molto innamorata dei piatti di carne, abbiamo il Vacum, un manzo iberico “rifinito” al barbecue che serviamo con un mizo di orzo.


  • I piatti vengono ideati assieme allo chef Guglielmo Paolucci: chi consiglia chi e a chi spetta l’ultima parola?

Io andavo a mangiare da lui al Mirò, dieci metri distante da Gong. Mi piaceva molto la sua cucina, è così che ci siamo conosciuti e ci siamo piaciuti. La vediamo allo stesso modo, c’è empatia, umana e professionale. Il resto viene da sé, in maniera naturale. Non ci sono imposizioni perché abbiamo una visione quasi identica sui piatti, altrimenti non avrebbe funzionato e non saremmo qui a lavorare insieme.

Guglielmo Paolucci e Giulia Liu – Lo chef è vestito da chef&maitre – Stazione90 divise da lavoro


  • Sei e siete figli di un ristoratore, cosa vi ha insegnato vostro padre, professionalmente parlando?

Prima di tutto il rispetto e l’importanza dell’ospitalità. Fra l’altro siamo cresciuti in Emilia, dove c’è tanta umanità e una sensibilità particolare. Poi diciamo che lui capisce al volo la differenza fra un sogno e un progetto fattibile: come stratega è infallibile, ha un senso della realtà straordinario. Ci tiene sempre con i piedi per terra, ci ha sempre fatto capire che non siamo nati benestanti e che ogni giorno dobbiamo ricordarcelo.


  • A proposito di fratelli, tu come ti posizioni rispetto a loro due?

Sto in mezzo, in famiglia come per la cucina che propongo. Sono la sorella più piccola di Claudio e quella più grande di Marco, ma per la cucina diciamo che sono la più creativa e la meno tradizionale.

Giulia Liu – Ph by Monica Cordiviola

  • Hai iniziato molto presto, come Claudio e Marco, nel ristorante di famiglia: negli anni com’è cambiata la tua visione sulla ristorazione?

E’ ovvio che mi sento più matura, negli anni ho affinato i dettagli. Sono passata da un ristorante informale ad un fine dining, prima eravamo in venti ora siamo in trentasei. Se dovessi scegliere un solo esempio concreto, direi che negli ultimi anni ho capito l’importanza del caffè e del servirlo in un certo modo, dopo aver praticamente preparato il tavolo da capo.


  • Gong ha aperto quasi cinque anni addietro, facendo dei passi da giganti fino al livello attuale: in percentuali, a che punto pensi di essere arrivata?

Al settanta per cento. Il resto del trenta verrà solo se farò delle modifiche al ristorante, siamo un po’ frenati dalla struttura. Vorrei tanto fare qualche miglioria in sala e in cucina, per arrivare a cento.

(Di Dominique Antognoni)