Milano: Gong, la perfezione!

Sublime. A tratti divino. Esagerazioni? No. Esaltazione? Forse. Perché è uno di quei ristoranti per i quali vale la pena vivere e fare questo mestiere, ovvero provare il meglio e raccontarlo ai lettori.
Voto dieci più, dall’estetica all’organizzazione, dalla lista degli champagne al personale di sala, dalla cucina all’atmosfera.
E poi, ammettiamolo: non si era mai vista una situazione del genere: tre fratelli, tre ristoranti con incassi mirabolanti, tre ristoranti dove splende e funziona tutto, tre macchine da guerra dove è difficile trovare un posto senza prenotare.
Giulia, Claudio e Marco Liu sono nati in Italia, i loro genitori invece sono originari di Zheziang, nel sud della Cina.
Ognuno gestisce un ristorante in una zona diversa della città, così da poter presidiare l’intero “territorio”.
Sono straordinari, davvero: Giulia regna al Gong, Claudio da Iyo, Marco invece tiene le redini del Ba Asian Mood. Certo, spicca l’Iyo, una stella Michelin e un record ancora imbattuto a Milano, 620 persone rifiutate in un sabato qualunque perché, semplicemente, era tutto pieno.
Ora, torniamo al Gong, una delle tre macchine perfette, 100 coperti ogni sera, 35 persone che ci lavorano, fra sala e cucina. Entri e rimani sbalordito, il primo impatto è formidabile, pare uno di quei tempi dell’alta ristorazione. Colpisce il design, le camicie bianche dei camerieri, gli spazi ampi, la luce che entra dalle finestre gigantesche.


Poi ti siedi e, come sempre, inizi a giudicare un ristorante dalle amuse bouche, che raccontano tanto se non tutto sulla cucina, sullo chef e sulla filosofia del ristorante.
Potrebbero offrirti due cosette due, carine e poco impegnative, di poca intensità e personalità: e invece. Trovi mini ghiotterie fantasiose, frizzanti, vigorose, eleganti, ispirate, pittoriche. Primeggia il grissino leggero e croccante con coda di scampo e gelatina di tosatsu, una salsa a base di soia e aceto di riso che detta così pare una carineria e nulla più, però assaggiatelo e poi vediamo.

Segue l’ostrica con dashi e uova di lompo: lo scoppiettio delicato delle palline, l’intensità del dashi, è seduzione totale.


Certo, il menù è ampio, non puoi e non ha senso raccontare ogni piatto assaggiato, la nostra intenzione è di mettere l’accento sulla ricerca della perfezione e della felicità.
Prendiamo per esempio il “Hamachi”, ricciola del Pacifico con salsa mirabolante di mizu.
Ogni morso è felicità, tenerezza allo stato puro: hai la sensazione di assaggiare l’intensità dell’oceano, i profumi sono nitidi, la mano dello chef Keisuke salda. Si scioglie al solo contatto con la lingua, è un piatto saporito come un bacio e che va assaggiato con lentezza, tanta lentezza.
Di grande impatto coreografico il carpaccio di storione con salsa mojito e zenzero candito, mela verde e dragon fruit, marinato con ginbotanic: nulla è lasciato a caso, l’insieme vale. E tanto.


Sul podio delle portate assaggiate sale, forse al primo gradino, la tartare di tonno spagnolo Belfago. Preparato con una maionese all’ostrica e wasabi, é quasi afrodisiaco, mettiamo il quasi perché ognuno ha la sua sensibilità e palato, magari per qualcuno l’emozione è minore, anche se dobbiamo dirlo che in tal caso Gong non fa a caso suo. Piatto che ha e che da ritmo, di una delicatezza vibrante.


Voto altissimo anche per il raviolo con filetto di wagyu di Kagoshima, morbido come un cuscino: caramella amorosa, paradisiaca, che lascia il segno e ti fa venire la voglia di tornare anche domani.
Portata di estrazione geografica più chiara, davvero perfetto (ancora, è una parola che la si deve ripetere assai, nella casa di Giulia Liu).
L’anatra è morbida come il raso, è un piatto che va annusato in modo profondo, ampiamente. Piatto che richiede lumi di candela, il fegato grasso servito accanto completa, mentre la salsa di sesamo nero, mizu cinese e biscotti di soia è il tocco in più che da potenza.
Certo, qui da Gong rimane il problema dell’identificazione, lo abbiamo preso alla larga perché non è facile inquadrarlo. Sono evidenti e forti le matrici asiatiche, però si deve stare attenti nel considerarlo un ristorante cinese solo perché la patron, Giulia, proviene dal paese del dragone.
In più, sarebbe riduttivo e, ammettiamolo, sminuente, vale anche per il termine fusion, che ormai significa tutto e nulla. Qui si fa alta cucina e la si propone in maniera costante, senza amnesie e differenze da una settimana all’altra, come spesso accade altrove. Il livello rimane sempre superlativo, puoi tornare dopo alcuni mesi ed è tutto identico, come servizio e qualità. Giulia è consapevole che non si possono fare passi falsi in una città dove si è alzata e di molto l’asticella, ha ben chiaro che diventa sempre più difficile soddisfare una clientela esigente. Lo sa e sa anche come far funzionare il tutto. E’ merito suo anche l’intesa fra i due chef, Keisuke Koga e Gugliemo Paolucci, scuole così diverse ma che vanno così d’accordo. Menzione d’onore anche per il sommelier Roberto Riccardo Tornabene: discreto, preparato, gentile, affidabile, serio.
Provando a trovare una definizione, diremmo che è un ristorante con una cucina traboccante di idee, pur non spingendosi troppo oltre certe frontiere gustative: un ristorante per gente affamata di sensazioni, dove ti fanno vivere e assaporare dei piaceri sconosciuti.
Di sicuro, se vi aspettate molto, le vostre aspettative saranno interamente soddisfatte e, forse, superate.
Standing ovation.

Dominique Antognoni


Corso Concordia 8, Milano
ph. +39 02 7602 3873
mb. +39 3397498699
info@gongmilano.it