Terry Giacomello: “Papà voglio fare il cuoco”

Cucina “vibrante” tra passione, ricerca e l’influenza di Ferran Adrià – Lo Chef Terry Giacomello si racconta a chef&maitre

Ciao Terry, raccontaci il tuo percorso professionale

Mi sento un ragazzo fortunato, ho avuto la fortuna di aver lavorato fin da piccolo nel ristorante di mamma, da lì è iniziata la mia crescita professionale.
Ho fatto la scuola alberghiera dopodiché ho iniziato a lavorare in numerosi ristoranti e hotel di Venezia, dai 4 stelle ai locali di lusso.
Dopo queste esperienze ho voluto provare cose nuove ed ho iniziato a viaggiare, prima in Italia e poi all’estero, sono stato due anni in Francia, cinque anni e mezzo in Spagna, poi Danimarca, Brasile, Svizzera,  Inghilterra e Belgio.
Sono tornato poi in Italia e qui sono stato contattato dalla famiglia Poli, devo dire di aver trovato una bella realtà che mi permette di esprimermi nel migliore dei modi, sono persone corrette, leali e oneste, Francesca Poli si da molto da fare e il fatto che arrivi da una famiglia di ristoratori è molto rilevante.
E’ un anno e 6 mesi che sono all’Inkiostro e sono contento di quello che sta accadendo.

Perché hai scelto di diventare chef? 

Non so se ho scelto io di essere cuoco o il cuoco ha scelto di essere me.
Ho iniziato a studiare da elettricista e nel frattempo aiutavo mia mamma in cuicina, un giorno vado da mio papà e gli dico “Papà voglio fare il cuoco” e lui, avendo sempre lavorato nel settore,  mi mette subito davanti le difficoltà e i sacrifici che avrei avuto facendo questa professione.
Mi propone tanti altri lavori ma io ero sicuro, allora inizio gli studi e da li non ho mai più abbandonato l’idea di fare il cuoco e mai ho avuto ripensamenti.

Hai lavorato con grandi nomi della cucina, ami ricordarne uno in particolare?

Beh… uno c’è…perché oltre ad averci lavorato è per me una famiglia, ed è El Bulli, non è stata solo un’ esperienza di lavoro ma un qualcosa di più che ci ha legato, tutt’ora ci sentiamo io e Ferran Adrià, abbiamo un rapporto veramente bello.

C’è un episodio personale che ricordi volentieri  della tua esperienza a El Bulli ?

Appena arrivai nella cucina di El Bulli stavo sull’attenti come un soldato, abituato così nelle cucine italiane del mio percorso lavorativo, non passò un giorno che Ferran Adrià  mi disse << se stai duro e dritto come un baccalà ti mando a casa.. un’altra cosa, mi devi dare del “tu” , non chiamarmi “chef”, io mi chiamo Ferran >>.
Ferran è una persona molto umile e alla mano, un giorno arrivò in cucina con la faccia tutto sporca, gli chiesi se si era rotto il frullatore e lui mi rispose  “no, volevo provare a fare una maionese di latte di mozzarella ma non sono riuscito…vedi, non sono un genio! ”

Qual è il piatto che più ti rappresenta? 

Non mi sento legato particolarmente a nessun piatto.

Parliamo del tuo nuovo menù Vibrazioni che ha suscitato molto interesse, come è nato “Meduse” ?

“Meduse” è un piatto che ha molto incuriosito, alcuni fornitori mi hanno chiesto dove reperivo le meduse, ma io in realtà non le compro, perché non sono meduse bensì midollo di tonno, la sua trasparenza ricorda una medusa e per ricordare l’orticante abbiamo fatto una polvere di pepe di Sichuan che gli dona quel senso di frizzante e anestetizzante, poi aggiungo alghe e corallo.

Meduse Lido Vannucchi Photo

Professionalmente come si svolge una tua giornata tipo?

Iniziamo alle 9.00 di mattina e finiamo quando va bene alla 15.30/16.00, poi riprendiamo  alle 17.30 fino a mezzanotte l’una.
A volte  ci sono anche  eventi esterni, l’orto da curare e tanto altro. Vorrei avere più tempo e creare un vero e proprio laboratorio.

Quale ingrediente non può mancare nella tua cucina?

Passione, ricerca, creatività e impegno.

Come giustifichi il costo dei tuoi piatti? 

Costano, costano parecchio, ma risponderei con una domanda, perché per un jeans di Armani si è disposti a spendere tanti soldi, per un telefonino 700 euro, per una partita di calcio 80 euro e io non posso far pagare un piatto che per crearlo ho impiegato 18 giorni come i taglioni d’uovo 20 euro?

Lo studio , la ricerca il provare e il creare  un piatto porta via molto tempo in più c’è il costo della materia prima che incide molto.
La qualità costa, per esempio il tonno che utilizzo costa 70 €/Kg, ho provato ad utilizzare un tonno meno costoso, sui 35 euro al kilo, ma non è la stessa cosa.
Il nostro obbligo è quello di regalare emozioni, se vedo il sorriso sulla faccia di un mio cliente dopo che ha assaggiato un mio piatto ho già vinto e per ottenere questo bisogna studiare molto e ricercare le materie prime migliori.

Troviamo influenze straniere nella tua cucina?

Si, mi piace sperimentare e guardare oltre, per esempio ora abbiamo appena seminato nel nostro orto delle erbe messicane, tutto quello che è commestibile lo voglio provare.
Sicuramente ho influenze importanti di El Bulli, amo la Spagna.

Cosa consiglieresti a un ragazzo che vuole intraprendere questa professione? 

Consiglio di studiare e avere sempre ambizioni, io stesso non smetto di studiare e di arricchirmi professionalmente, ad agosto chiudo ed vado al Mugoritz per 15 giorni, ci ho già lavorato 5 mesi nel 2014, vado a vedere cosa fanno ora.

Quanto è importante la sala e chi se ne occupa?

Penso che il ristorante sia un lavoro di squadra, devi avere una persona fidata in sala, noi abbiamo Daniele Molinaro che è molto bravo nell’illustrare i piatti ai clienti.
E’ vero che le persone vengono per la cucina ma se non si ha l’insieme delle cose qualcosa viene a mancare, è la sala che deve raccontare e proporre, noi non possiamo farlo.

Nel passato ci sono state alcune critiche, ad oggi dopo 7 mesi, come stanno rispondendo i parmensi sulla vostra scelta di cucina?

Sì ricordo, ti dico la verità i primi sei mesi ho fatto fatica, adesso a distanza di un po’ di tempo abbiamo ogni sera mediamente 4 o 5 tavoli di parmensi.

Quindi avete dimostrato che la vostra determinazione e la vostra scelta controcorrente è stata vincente in un territorio molto tradizionalista?

Piacere a tutti è impossibile, ma credo che il lavorare bene e la costanza alla fine premiano sempre. 

Quale domanda non ti è mai stata fatta alla quale vorresti rispondere?

Quante ore di studio dedichi dietro ad ogni piatto?
Questa non me l’ha mai fatta nessuno, rispondo anche 20 giorni, mediamente 4 ore ogni giorno.

Mezze maniche al prosciutto, riduzione di aceto balsamico e torta fritta

Cosa vedi nel tuo futuro? Quali sono le tue ambizioni?

Cercare di migliorare giorno dopo giorno cercando di fare felici e soddisfare i clienti.
Non posso dire che non vorrei due, tre, dieci stelle, ma la mia ambizione è quella di continuare a lavorare bene, poi se arrivano la seconda e la terza stella di certo non dico che non la voglio!
Credo che non si debba vivere con solo quel pensiero in testa, bisogna concentrarsi sul fare bene e in modo costante , il resto viene da se.

Come ultima domanda ti chiedo, cosa pensi di chef&maitre? 


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Infine una breve intervista al Maitre Daniele Molinaro del ristorante Inkiostro

Quando è nata la tua passione e quali sono state le tue esperienze prima di approdare all’ Inkiostro? 

All’inizio ho scelto la scuola alberghiera perché ero molto timido quindi pensai che lo stare al contatto con i clienti mi avrebbe aiutato a sciogliermi e la cosa ha funzionato.
A 14 anni ho iniziato a fare le prime esperienze che mi permettevano di pagarmi gli studi.
Prima di Inkiostro ho lavorato All’Oro di Roma, sempre una stella Michelin, qui ci sono da tre anni, sono il più “vecchio” di tutti.

Quanto è importante la sinergia tra sala e cucina?

Se si vuole crescere è tutto, la sala deve ascoltare lo chef e viceversa, è importante il confronto diretto tra sala e cucina.

Quanti siete in sala?

Siamo in quattro più qualche stagista che arrivano a turno mandati dalle scuole.

Quali sono le doti importanti che bisogna avere nel tuo mestiere?

Sicuramente occhio e pazienza, pazienza perché ogni cliente è diverso, spesso hanno richieste e domande, bisogna sorridere sempre e accontentare le richieste nel limite del possibile.
L’occhio perché con un colpo d’occhio bisogna tenere sotto controllo tutta la sala, collaboratori e clienti.
Altra cosa fondamentale è lo studio, l’aggiornamento continuo è quello che rende grande sia la sala che la cucina, non bisogna fossilizzarsi sul “classico” ma essere in grado di evolversi di  pari passo con la cucina.

Di cosa ti occupi nello specifico? 

Coordino la sala, quindi sistemazione e pulizia in primis, la pulizia di un locale è fondamentale, è il primo biglietto da visita.
Poi mi occupo di coordinare le varie mansioni, seguo le note che possono avere i clienti e  mi occupo dell’acquisto vini tenendo presente anche il bilancio, infine mi occupo della stesura del menù e della carta vini e dei cocktail che creo personalmente, spesso a base di tè , inoltre abbiamo anche un menù dei tè che abbiniamo ad alcuni piatti.

Sei anche sommelier, c’è un vino che apprezzi maggiormente?

Molto buono e che amo è il Pinot Grigio Gravner, andrà fuori produzione, visto che il vigneto è stato espiantato a fine 2011, ma è eccezionale.

Cosa vedi nel tuo futuro? Quali sono le tue ambizioni?

La mia ambizione era quella di diventare maitre a 30 anni, ne ho 31 e ci sono arrivato.
L’altra è quella di arrivare a due stelle con uno staff giovanissimo che sto formando e che sta crescendo molto.